Giocatori che non esultano contro le ex squadre


Il falso mito del rispetto

Nel calcio moderno si è diffusa una tendenza preoccupante: giocatori che scelgono di non esultare dopo aver segnato contro le loro ex squadre, giustificando questo comportamento con il “rispetto”. Ma questa apparente nobiltà d’animo nasconde in realtà un gesto ipocrita, poco professionale e persino irrispettoso nei confronti dei compagni di squadra attuali e dei tifosi che li sostengono oggi.​

Da Declan Rice, che rifiutò di festeggiare dopo aver segnato il sesto gol dell’Arsenal contro il West Ham, passando da Cesc Fàbregas l’attuale allenatore del Como, rimasto impassibile dopo una rete al Chelsea contro l’Arsenal, fino ad Hakimi in finale di Coppa dei Campioni, sollevano interrogativi sulla genuinità di questi gesti. Se un club ha venduto, messo in panchina o sottovalutato un giocatore, quale lealtà eterna dovrebbe quest’ultimo a quella società? La nostalgia selettiva appare più come una strategia di pubbliche relazioni che un principio autentico.​

Il tradimento della squadra attuale

Segnare un gol è il culmine di strategie complesse, sessioni di allenamento interminabili e sforzi collettivi di un’intera squadra. La ricerca in psicologia dello sport dimostra che le celebrazioni di squadra rafforzano la coesione, la fiducia reciproca e le prestazioni: i team vincenti mostrano il 50% in più di contatti fisici positivi.

Quando un giocatore si rifiuta di celebrare, manda un messaggio emozionalmente devastante ai suoi attuali compagni: il loro contributo e la loro gioia non contano. Come ha sottolineato Rob Earnshaw, ex attaccante del Nottingham Forest, “È di questo che si tratta nel calcio. È per questo che esistono queste partite”. Celebrare con i tifosi che ti sostengono oggi, non con quelli del passato.​

Il fenomeno della “contagio emotivo” studiato dagli esperti dimostra che le emozioni positive si trasmettono rapidamente tra i membri di una squadra, migliorando le prestazioni collettive. Negare questo momento cruciale significa sabotare deliberatamente il morale del gruppo per preservare un’immagine pubblica costruita ad arte.​

Altri sport professionistici

Negli altri sport d’élite, questa reticenza non esiste. LeBron James non ha mai esitato a celebrare contro Cleveland o Miami, le sue ex squadre, dimostrando che il rispetto si esprime attraverso la sportività, non attraverso il silenzio. Nel basket NBA, i giocatori esultano regolarmente per giocate decisive contro le loro precedenti franchigie, senza che questo venga considerato irrispettoso.​

Nella NFL, segnare un touchdown è seguito da celebrazioni elaborate, indipendentemente dall’avversario. Come osservato da esperti di football americano, “le relazioni con le squadre nell’NFL sono raramente emotive o ‘massive’ come nel calcio. Il football ha una mentalità molto più orientata al ‘business is business’ riguardo alle lealtà di squadra”. Nel tennis, i giocatori non trattengono la loro gioia dopo aver battuto ex allievi di coach precedenti o idoli d’infanzia: celebrano la vittoria, poi mostrano rispetto nella stretta di mano.

I costi nascosti dell’ipocrisia

Alcuni esempi rivelano il carattere costruito di questi gesti. Robin van Persie si è scusato ostentatamente dopo aver segnato contro l’Arsenal nel suo primo match con il Manchester United nel 2012, ma ha esultato senza riserve la stagione successiva, evidentemente decidendo che un atto di “rispetto” fosse sufficiente. Daniel Sturridge ha esitato a celebrare dopo aver segnato per il Chelsea contro il Bolton nel 2011, nonostante avesse giocato solo 12 partite in prestito con quella squadra.​

Casi ancora più assurdi includono Erling Haaland, che non ha esultato contro il Leeds non perché ci avesse giocato, ma perché suo padre Alfie aveva militato in quella squadra decenni prima. Questi episodi dimostrano quanto la “tradizione del rispetto” sia diventata teatrale e disconnessa dalla realtà.​

Il contrappeso necessario

Il caso di Emmanuel Adebayor offre un contrappunto significativo. Nel 2009, dopo essere passato dall’Arsenal al Manchester City, Adebayor segnò contro la sua ex squadra e corse per l’intera lunghezza del campo per celebrare davanti ai tifosi dell’Arsenal in trasferta. Fu multato di 25.000 sterline e ricevette una squalifica poi sospesa di due partite dalla Football Association, che ammise però nella sua decisione “la natura estremamente provocatoria degli abusi ricevuti” dai tifosi avversari.​ Di fatto giustificando il giocatore.

Adebayor, che ha oggi felicemente appeno gli scarpini al chiodo, ha chiesto ai tifosi dell’Arsenal di superare quell’incidente e concentrarsi sui bei momenti condivisi. La sua celebrazione, per quanto controversa, era almeno autentica: una risposta emotiva genuina agli insulti ricevuti e un’espressione sincera di lealtà alla sua nuova squadra. Ian Wright, leggenda dell’Arsenal, ha vissuto una situazione simile quando segnò contro il Crystal Palace nel 1992 dopo il suo trasferimento: di fronte agli insulti dei tifosi del Palace, “l’ho festeggiato… con forza”, ha ammesso successivamente.​

rispetto o performance?

Il calcio professionistico è prima di tutto un’industria miliardaria dove i giocatori sono dipendenti ben retribuiti, non cavalieri medievali legati da voti di fedeltà eterna. Quando un club decide di vendere un giocatore o quando un atleta sceglie di cambiare squadra per avanzare nella carriera, si tratta di decisioni d’affari razionali, non di tradimenti sentimentali.

I tifosi che sostengono un giocatore oggi – acquistando magliette, abbonamenti, biglietti – meritano il massimo entusiasmo e dedizione. La ricerca scientifica conferma che le celebrazioni collettive migliorano le prestazioni della squadra e rafforzano i legami tra i giocatori. Negare questo momento significa tradire non solo i compagni di squadra, ma anche i principi fondamentali dello sport di squadra.​

È tempo di abbandonare questa facciata di falso rispetto e abbracciare l’autenticità: celebrare con passione quando si segna, indipendentemente dall’avversario, e dimostrare la vera sportività attraverso il fair play durante la partita e la stretta di mano finale. Tutto il resto è semplicemente teatro per i social media.

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