Caffè Corretto: C’è Solo un Profeta

Non nel senso assoluto del termine, in quello sportivo però… sì.

Tre messaggi impilati su WhatsApp.

nooooooooooooooooooooooo
galeone è morto noooooooooooooooooooooooooo
no no no nononono noooooooo

È mia sorella, dalla Somalia, e non è lì in vacanza. L’unica sorella che ho, almeno all’anagrafe, e la stessa orgogliosamente cattolica che non mi ha scritto le stesse cose quando è morto Papa Francesco.

Per raccontarvi cosa è stato quel Pescara, per un’intera generazione e una città, dovrei trasportarvi in un passato che racconta di una squadra con soli 10 giocatori, che non può fare nemmeno il 5 contro 5 perché non ha due portieri, e che arriva quell’anno prima in Serie B. Anche se avessi le parole giuste, e non penso di averle, quell’emozione lì sarebbe difficile da mettere giù e trasmetterla. Per quello è necessario essere stati in piedi quell’anno sui gradoni dell’Adriatico.

La sua influenza è stata così grande per quella generazione di ragazzi cresciuti nella Nord che il primo proto-podcast di Any Given Sunday, quando ancora gli unici pezzi erano sui videogiochi sportivi e il football americano, si chiamava “Un Buco a Centrocampo”. Era un riferimento al celebre scambio tra Giovanni Galeone e un giornalista alla vigilia di un Pescara-Napoli, ma il Napoli di Maradona: “Non penso di far seguire Maradona da un uomo, mi creerebbe un buco a centrocampo.” Era il 1989.

Per raccontare una partita di futsal femminile, oggi parto con una delle mille frasi celebri dell’unico vero profeta, Giovanni Galeone.

Io in porta ho un optional. Quel gol del pareggio milanista, l’avrei preso di testa nonostante i miei cinquant’anni.

13 settembre 1992. Il suo Pescara ha appena perso 5 a 4 contro il Milan di Sacchi. Il primo tempo era finito con uno scoppiettante 4-4, prima rete di Allegri. Sì, Massimiliano Allegri.

In campo la squadra di casa corre e prova a giocare. Quando non ci riesce, e accade abbastanza spesso, mette il fisico. Non è una brutta caratteristica se si lotta per non retrocedere.

Jessica mi ricorda per qualche ragione Julio Cesar, il difensore brasiliano in forza a una delle Juventus più operaie di sempre, al quale Giovanni Trapattoni, dopo l’ennesimo pallone perso tentando di impostare il gioco, aveva laconicamente spiegato: “Guarda che in tribuna c’è sempre una famigliola felice di ricevere il pallone.”

Ersilia gioca con la stessa aggressività e intensità di Gerard Piqué, ma dopo aver ascoltato la canzone che l’ex moglie Shakira aveva deciso di “dedicargli”.

Zoe, forse sarà perché ha il nome che inizia con la Z, a volte gioca come se fosse Zinedine Zidane, altre come se fosse la moglie di Zidane mentre spiega a Moggi che vuole trasferirsi in una città di mare e finiscono a Madrid, sponda Real. Il famoso “mare” di Madrid.

Sul finire di una partita che poteva essere quella di una svolta in una stagione che, se alla vigilia appariva difficile, rischia di diventare anche complicata, un papà con figlio piccolo al seguito, giunto sugli spalti per seguire la partita di volley in programma dopo l’incontro di calcio a 5, mi chiede candidamente: “Che categoria è, under 19?”

Rispondo tra il sorpreso e il divertito. “No, è la Serie A di calcio a 5 femminile.”

La successiva breve conversazione è piena della sua incredulità circa l’età anagrafica delle protagoniste in campo e il fatto che possa anche solo esistere una Serie A di calcio a 5 femminile nella sua città. Se sapesse che l’anno scorso al centro della difesa c’era il capitano del Brasile, probabilmente penserebbe che sto inventando tutto.

La squadra di casa va sotto e da quel momento, per le ospiti, la partita è in discesa almeno nel punteggio, ma resta incredibilmente fisica. Ho temuto un paio di volte per l’incolumità di Filipa, ma l’avevo avvertita. Non una brutta partita, almeno fino a quando l’intensità e la corsa hanno permesso alla squadra di casa di colmare parte del gap tecnico. Non dolorose come le prime uscite.

Vi lascio con una frase del Profeta.

Come ci si sente a perdere una partita così? Ci si sente degli scemi.

Era ancora quel 13 settembre 1992.

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