Sport in provincia

Vi siete mai chiesti come mai alcuni realtà molto vincenti anche nel calcio, raramente sono basate logisticamente nelle grandi capitali? Quando questo accade è in essere una particolare situazione politica. Spesso invece proliferano squadre nella provincia del paese, molto più spesso in zone particolarmente industriali ad alto tasso d’occupazione.

La grande epopea del Real Madrid di Santiago Bernabeu coincide in Spagna con la dittatura del Generalissimo Franco. Altrettanto poco casualmente il grande Benfica di Eusebio vive il suo momento di maggior splendore durante la dittatura di António Salazar. L’elenco è piuttosto lungo e potrebbe non terminare con la Steaua Bucarest dei Ceaușescu.

È indubbio che le dittature siano sempre in cerca di consenso popolare non potendo fare affidamento costantemente ad una violenta repressione, il calcio è uno di quei volani sociali funzionali a raggiungere un determinato stato di appeasement. Tuttavia più spesso le squadre con maggior seguito crescono in zone lontano dalla capitale nazionale, quelle radicalmente industrializzate.

Il perché è anche qui abbastanza semplice da individuare sebbene complesso nella sua struttura. Nelle capitali è più difficile che il motivo d’orgoglio per i cittadini sia la squadra di calcio o di qualsiasi altro sport. Nessuno dei parigini si sognerebbe mai di nominare il PSG prima del Louvre, la Torre Eiffel o gli Champs Elysées. Così per Roma, se non siete della AS Roma ovviamente, per Berlino.

Londra? A parte non aver vinto moltissimo rispetto alle squadre delle Midlands, i team della capitale britannica sono sostanzialmente squadre “di quartiere” rappresentano zone della dell’area metropolitana. Ma visto che siamo in Gran Bretagna ci spostiamo più a nord a Manchester.

Città dove è nato il processo industriale per come lo conosciamo oggi. L’agglomerato urbano è stato il primo a subire al mondo, gli effetti della moderna catena produttiva. In condizioni però così terribili da aver gettato quelli che poi saranno i semi del socialismo sovietico e della lotta proletaria.

Proprio in un territorio devastato dalle lotte di classe, deturpato dalle fabbriche che il Newton Heath LYR Football Club, divenne motivo d’orgoglio. Quello che poi diverrà il Manchester United è sostanzialmente una squadra aziendale quella della Lancashire & Yorkshire Railway che aveva i suoi magazzini e stabilimenti proprio nella zona di Newton Heath.

Fabbriche, operai, provate a trasferire questo concetto in Italia. Nel Belpaese la Juventus è sostanzialmente una squadra aziendale, mentre nella metropoli milanese con il suo interland costituito di piccole e medie imprese prenderanno vita Inter e Milan e il loro grande seguito. Agli albori del calcio italiano regnavano squadre come la Pro Patria o la Pro Vercelli, realtà estremamente di provincia, con un grande seguito.

Questo è un fenomeno che ancora oggi alimenta anche gli sport così detti minori. Treviso è terra di pallavolo, basket e rugby grazie alla munificenza dei ricchi imprenditori locali. Macerata è terra di volley e cucine. Anzio è la mecca del baseball nostrano perché li sbarcarono gli angloamericani, perfino Pescara è stata terra di pallanuoto. Gli esempi sono tantissimi.

Provate a consultare gli albi d’oro delle serie maggiori di basket, volley, rugby e anche futsal se non sono scomparse. Troverete molti centri di provincia. Se vivete nella città nota per le sue acciaierie, non credo vi vantereste del conseguente inquinamento, più facile farlo per una squadra sportiva.

In talune località è più facile catalizzare l’attenzione del pubblico se le alternative sono scarne. Conversano è pazza per la pallamano, i successi ripetuti della squadra, mettono la città “sulla cartina”. Altrimenti dovremmo farci aiutare da Google Maps per trovarla.

Così come è facile attirare l’attenzione di un eventuale pubblico con poche alternative, l’interesse che si genera è estremamente condizionato dall’ampiezza del territorio, se ne caratterizza così tanto da non riuscire a diventare un brand. Questo spesso causa una vita relativamente breve della squadra, destinata spesso a soccombere sotto il peso di necessità economiche che il territorio e la disciplina non riescono a supportare adeguatamente.

Gli eventuali sponsor più munifici sono probabilmente interessati a penetrare un mercato più vasto di quello della singola provincia o cittadina, finendo inevitabilmente per investire in ambiti sportivi che raggiungono un pubblico più vasto.

Legati spesso ad imprenditori locali, come fu per la Sisley Pescara di pallanuoto, capace di schierare Manuel Estiarte, il Maradona della pallanuoto e vincere tutto. La sua parabola si esaurì quando il territorio privato di Gino Pilota e delle sue risorse economiche non riuscì a sostenerla.

Una ciclica rivoluzione di eventi questa, che talvolta piaga anche il calcio, basti pensare a Parma e Palermo che sono solo i due casi più recenti. Tuttavia non mancano mai nuovi volti disposti ad investire nello sport, per l’attenzione, per il proprio ego e che finiscono come Ferrero per il fallire miseramente e trascinare club gloriosi con loro. Almeno fino a quando nel calcio, non arriva un edge fund manager che lo fa per denaro e rileva la squadra per una frazione del suo valore reale.

Negli sport minori invece al vuoto economico spesso s’associa anche un vuoto sportivo, le squadre spariscono, oppure cambiano denominazione sociale e tornano nell’oblio delle categorie incerte e dimenticate. Al tifoso in cerca di una fede, non resta che attendere, fosse anche il badminton.

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