La banalità del mito

Una delle più abusate iconografie del calcio mondiale appartiene a Marcelo Bielsa. Una piena di parole che raccontano di aneddoti strampalati hanno concorso negli anni a definire la figura di questo allenatore-profeta. Tanto da poter affermare oggi che Bielsa venga considerato un “guru” del calcio, anche in Italia, dove non ha mai allenato.

Dissimile da quella dello “Special One”, quella del “Loco” Bielsa si sorregge su un titolo, l’ultimo vinto oltre vent’anni fa il
in Argentina alla guida del Velez Sarsfield con cui vinse il Clausura 1998. La quasi totale mancanza di successi nel corso degli anni ha paradossalmente reso più romantico il suo personaggio. I suoi estimatori lo dipingono come un maestro che non ha bisogno di vincere per essere tale.

Entrambe le figure mitologiche calcistiche, come per ogni divinità che si rispetti hanno e propagano senza vergognarsene i loro difetti. Se nel caso dello Special One questo aspetto viene mitigato dai risultati delle squadre, quella del Loco invece resiste nonostante le NON vittorie.

L’esperienza di Bielsa come ct argentino, oggettivamente, è stata una delle più disastrose nella storia dell’albiceleste. Pur potendo contare su calciatori del calibro di Ayala, Samuel, Simeone, Aimar, Veron, Zanetti, Batistuta e Crespo si fermò alla fase a gironi del mondiale 2002, stabilendo il peggior risultato dalla mancata qualificazione del 1970.

Eppure la sua parabola mistica non si è interrotta. Non ha vacillato. Anzi è divenuto il pazzo per antonomasia. “Quasi un topos letterario”. Benedetto da un gruppo di fedeli discepoli del suo culto che hanno contribuito a raccogliere una ricca aneddotica- Dagli allenamenti scrutati da sopra un albero, per avere una maggior visione del gioco, allo schieramento dei suoi familiari in piena notte nel campetto della sua casa in campagna, per provare una nuova tattica immaginata in sogno.

Tutto ruota attorno a quel suo soprannome, El Loco, che denota però una pazzia “sana”, non certo malata. Tale da non renderlo più oggetto di culto che funzionale ad un progetto di gioco e di squadra. Si eleva così al di sopra dei suoi disastrosi risultati sportivi.

Qui il mito Bielsa s’incrina. Perché l’approccio rigorosamente scientifico, costruito su migliaia di dati e sulla maniacale devozione agli schemi di gioco solo l’unico rifugio di un profeta incapace di concretizzare il suo verbo nella tangibilità dei risultati. L’allenatore profeta cerca di mescolarsi all’allenatore scienziato, provando così ad accreditarsi verso i possibili nuovi datori di lavoro.

Così si guadagnò il suo ingaggio nel Leeds di Radrizzani che da edge fund manager apprezzo la mole di dati e la conoscenza di tutte e 23 le squadre concorrenti nel Championship. Ad Elland Road cavalcarono per qualche anni il misticismo del “Loco”, foss’anche per assecondare le necessità di una nuova proprietà in cerca di credibilità.

Fu proprio la credibilità della proposta tattica di Bielsa a far naufragare l’avventura nelle Midlands. I risultati sul campo si scontrarono con il racconto mitologico. Il maestro, nonostante tutti i metodi scientifici, in realtà ha vinto ben poco. Tuttavia c’è sempre una squadra disperata abbastanza da offrigli un ingaggio o una così disfunzionale da credere alla sua proposta.

Quel “loco” badate bene ha una accezione più complessa. Bielsa non è un erratico pagliaccio, un istrionico saltimbanco. Non corre in campo ad abbracciare i giocatori, non fa sceneggiate sotto la curva o corre impazzito davanti alla sua panchina. Si tratta d’altro, di più profondo e radicato.

I Bielsa sono tra le famiglie più note d’argentina. Il nonno di Marcelo è considerato tra i padri del diritto giuridico argentino, il padre è stato un principe del foro, il fratello ministro degli esteri e figura preminente del partito giustizialista argentino.

È paura del fallimento. Prendo a prestito le parole proprio del fratello Rafael: “fin dall’infanzia ci è stato chiesto di arrivare ai vertici. Senza spiegarci come essere felici una volta arrivati in cima”. Si spiegano così molte delle follie nella sua storia professionale. Le numerose dimissioni “lampo” o “inaspettate”, dopo 23 giorni dall’inizio della seconda stagione all’Atlas, dopo la prima partita di campionato della seconda stagione al Marsiglia, addirittura prima di iniziare nel caso della Lazio.

Insomma, una persona con seri problemi a gestire i fallimenti che però ha sviluppato una narrazione perfetta per perpetuare il suo mito al di là dei risultati. Un elogio radicale della sconfitta che somiglia molto a una rimozione della possibilità di fallimento.

Sui social questa narrazione rimbalza all’impazzata, ciò ha concorso ad accrescere il fascino del suo personaggio. Rendendolo un maestro e profeta del vero calcio, contro l’ansia risultatista e prestazionale di un football diventato industria. Peccato che questa retorica dipenda da una mania di controllo frustrata applicata al calcio .

Bielsa non ha bisogno di vincere per essere considerato un guru. All’ossessione per la vittoria ha saggiamente sostituito l’ossessione tattica tralasciando il fatto che il fine ultimo di ogni tattica è quello di vincere. Il suo è un calcio disumanizzante basato appunto sulla sola tattica, i 200 modi di battere una rimessa laterale.

“Se i calciatori non fossero umani vincerei sempre” è una sua frase. Il problema del “calciatore automa” è tipico di ogni integralismo, tanto da rendere l’applicazione dei metodi scientifici di Bielsa stressanti per i giocatori; prova ne è che il tecnico rosarino, in trent’anni di carriera, non sia mai rimasto in un club per più di due anni consecutivi.

Bielsa è l’allenatore in assoluto più spinto dal marketing e il meno corretto. La devozione che alcuni suo acritici estimatori come l’italianissimo Lele Adani ne fanno spesso sfocia nel ridicolo. Come quando Adani lodò l’analisi del suo avversario, il Derby County ottenuta spiando illegalmente l’avversario. Come quando dopo essere stato battuto da Pierluigi Casiraghi alla guida del Cile U23 si rifiutò di dare la mano all’allenatore avversario preferendo invenire “non si può vincere così”.

Definirlo l’allenatore migliore del mondo è una pratica disonesta e diciamocelo chiaramente “paracula”. La vittoria è una bussola in grado di stemperare le esaltazioni del tempo presente e permettere un confronto altrimenti impossibile, anche con il passato. Bielsa ha vinto pochissimo.

France Football in un lunghissimo articolo nel 2020 si chiede se si trattava di un genio o di un impostore. Certamente qualcuno capace come tutti i veri profeti dei culti millenari, capace di farsi baciare i piedi pur non portando alcun risultato. Per lui si sono minimizzati i risultati e s’è esaltata la retorica della sconfitta. Un inganno meravigliosamente architettato.

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