La Nazionale di calcio femminile della Svizzera, 23esima nel ranking mondiale, viene travolta in amichevole dall’under 15 del Lucerna, maschile. Se avete mai prestato davvero attenzione al calcio femminile, al gioco sul campo intendo, avrete sicuramente notato che pur condividendo le regole, uomini e donne sostanzialmente competono in due discipline differenti.
Per una mera questione fisiologica.
Se non siete ancora chiusi in una caverna di Kandahar e avete accesso ad alcuni neuroni funzionanti potrete ad esempio confrontare i tempi dei record mondiali sui 100 metri piani. Stessa pista, stessi materiali. Usain Bolt ha fermato il cronometro sui 9.58 mentre Florence Griffith-Joyner ha stabilito il record del mondo con il tempo di 10.49.
Non è solo il quasi secondo di differenza a stabilire che pur praticando lo stesso sport, non competono nella stessa disciplina agonistica. Ad avvalorare questo dato c’è anche la progressione del miglioramento medio del tempo record del mondo.
Nessuno però nell’atletica mondiale ha provato a vedere i 100 metri piani femminili con la medesima narrativa di quelli maschili, non li ha mai posti come alternativa.
Il problema odierno del calcio femminile, ma anche degli sport femminili di squadra in generale, è che vengono proposti al pubblico come alternativa. Come uno spettacolo del medesimo livello di quello maschile. Badate bene lo sport al femminile ha una sua dignità, un suo livello di spettacolo. Non è però e non sarà mai, alternativo a quello maschile. Può essere complementare.
L’errore è narrarlo come se il gap fisiologico non esistesse, come se fosse la medesima disciplina praticata al maschile.
Quel 7 a 1 non racconta solo d’un ovvia differenza in termini agonistici. Racconta d’un gap che è anche demografico. Perché se solo il 47 per cento delle donne che consuma sport guarda gli sport al femminile, quel risultato sul campo non è solo un problema sportivo. Ma di comunicazione.
L’interesse globale per il calcio femminile è al 22% e sebbene abbia registrato un incremento del 2 per cento su base annua non è certo il +31% del WNBA nello stesso identico periodo. Se i 46,9 milioni negli USA sono un risultato eccellente non sono abbastanza per rendere la disciplina indipendente dalla risorse dalla NBA. Quell’incremento straordinario è frutto d’una precisa strategia: “venite a vedere giocare le donne per quello che sono”, non vedrete le schiacciate e la fisicità maschile, però è uno spettacolo che merita.
Nel caso del piccolo futsal la differenza tra la disciplina al suo massimo livello, nelle competizioni internazionali al maschili, e il campionato italiano maschile è così netta da non sembrare nemmeno lo stesso gioco. Se provate a confrontarlo con la sua versione al femminile, il confronto è impietoso.
Quando lo spettatore occasionali si trova esposto alle versioni femminili degli sport che conosce né esce inevitabilmente deluso perché le sue aspettative costruite con artifici da clown finiscono con il danneggiare invece che promuovere quella disciplina.
Il vero danno nella debacle in amichevole della Svizzera femminile, non è nel risultato. È nell’hype costruito intorno che inevitabilmente s’è scontrato con la realtà. Invece di navigarla quella realtà s’è tentato di alterarla, di gonfiarla, di raccontarne una di realtà, alternativa.
Il risultato? 7 a 1. Con dei ragazzini contro donne professioniste. Non sono i gol il problema, ma quello che raccontate delle donne e dei loro sport.