Olimpiadi Esports: Divorzio CIO-Arabia Saudita

Olimpiadi degli Esports: Il Divorzio Necessario tra CIO e Arabia Saudita

La notizia della cancellazione dell’accordo dodicennale tra il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e l’Arabia Saudita per ospitare le Olimpiadi degli Esports è stata presentata con la diplomatica formula di un “mutuo accordo”. Tuttavia, dietro questa facciata si cela una verità più complessa. Non si tratta di una semplice controversia organizzativa, ma della fine annunciata di un’alleanza intrinsecamente problematica. Questo divorzio non è un fallimento per il movimento olimpico; al contrario, è un’opportunità cruciale per una riflessione strategica e la riaffermazione dei propri valori fondanti.​

Un Matrimonio di Convenienza

L’accordo, siglato con grande fanfara nel luglio 2024, appariva come un classico matrimonio di convenienza. Da un lato, un CIO desideroso di svecchiare la propria immagine e catturare l’attenzione di un pubblico più giovane, un’audience che vive e respira nel mondo digitale degli esports. Dall’altro, un’Arabia Saudita che, attraverso il suo ambizioso programma Vision 2030, utilizza lo sport come leva strategica per proiettare un’immagine moderna e dinamica sulla scena globale, distogliendo l’attenzione da questioni più controverse.​

Le promesse erano allettanti: un partner finanziariamente potente e un evento proiettato nel futuro. Eppure, le fondamenta di questa unione erano fragili, minate da una divergenza di visioni che il rinvio della prima edizione dal 2025 al 2027 aveva già lasciato presagire.​

Il Conflitto Irrisolvibile

Il nodo centrale della questione, impossibile da sciogliere, risiede nella natura stessa dei titoli di esports più popolari. Giochi come ‘Call of Duty’ e ‘Counter-Strike’, protagonisti indiscussi degli eventi organizzati da Riyadh come la Esports World Cup, si basano su simulazioni di guerra e violenza. Come poteva il CIO, il cui mandato è promuovere la pace e l’amicizia tra i popoli, associare i propri cinque cerchi a sparatutto in prima persona?​

L’ex presidente del CIO, Thomas Bach, aveva tentato di aggirare l’ostacolo, assicurando che i valori olimpici sarebbero stati rispettati. Ma si è trattato di un equilibrismo retorico insostenibile. L’integrità del marchio olimpico già piegata alle logiche di mercato si sarebbe definitivamente spezzata. La cancellazione dell’accordo, avvenuta sotto la nuova presidenza di Kirsty Coventry, suggerisce una minima presa di coscienza: i valori olimpici non sono negoziabili fino a quel punto. Nemmeno in cambio di un accesso privilegiato al redditizio mondo degli esports.​

Una Pausa di Riflessione per Ripartire

Il comunicato del CIO, in cui si annuncia l’intenzione di sviluppare un “nuovo approccio” e un “nuovo modello di partnership”, deve essere letto come una ritirata. Quasi un’intelligente mossa strategica. Questa pausa di riflessione è salutare. Se l’obiettivo non è abbandonare gli esports, ma integrarli in modo coerente e sostenibile.​

Ciò significa selezionare discipline che siano in armonia con lo spirito olimpico, come le simulazioni sportive (ciclismo, canottaggio), o giochi strategici che non esaltino la violenza. Significa anche diversificare i partner, per non legare un progetto di portata globale agli interessi geopolitici di un singolo attore. La fine della collaborazione esclusiva con Riyadh è un segnale forte: il futuro degli esports olimpici deve essere universale, inclusivo e, soprattutto, fedele ai principi che hanno reso i Giochi l’evento più importante al mondo. La porta non è chiusa, ma ora il CIO ha la possibilità di riaprirla alle giuste condizioni.

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