Qualche giorno fa, su Prime Video, mi sono imbattuto in una docuserie appena caricata, incentrata sul motorsport americano, in particolare sulla NASCAR. Non si parla di un pilota qualunque, ma di una vera e propria leggenda che ha segnato la storia di questa categoria: la serie si intitola “Earnhardt”.
Si compone di quattro episodi, tutti molto interessanti, che raccontano la sua storia dall’esordio al suo inevitabile ritiro. Se non volete spoiler, vi consiglio di fermarvi qui e guardarla: ne vale davvero la pena.
Tutto comincia nel 1975, quando un uomo baffuto fa la sua comparsa sulla scena, ai nastri di partenza. Inizia così una carriera che diventerà straordinaria, tanto da divenire uno dei pilot più rispettati, temuti e invidiati di sempre. Lui è Dale Earnhardt Sr., originario di Kannapolis, North Carolina. A renderlo una leggenda del motorsport più redneck di tutti, non sono pero stati solo i suoi risultati in pista. A brillare sono stante anche le sue abilità imprenditoriali, che gli hanno permesso di costruire un vero impero, capace di generare profitti significativi.
La docuserie racconta anche il lato umano, al di fuori del circuito: una vita familiare complicata. Il padre Ralph morì durante una sua gara mentre lo era tra il pubblico. Il suo primo matrimonio finì, mentre il secondo gli portò maggiore serenità. Non è sempre stato presente con i figli, ma col tempo il rapporto con Dale Jr. si è rafforzato. Oltre alle corse, amava la caccia e la pesca.
Non a caso era soprannominato “The Intimidator”, l’intimidatore: in pista era un vero e proprio animale da gara. Grazie ai suoi successi, attirò sponsor di grande rilievo e costruì una carriera incredibile: sette titoli NASCAR, 76 vittorie, e rivalità leggendarie, tra cui quella con l’amico-rivale Darrell Waltrip. La sua vittoria più importante arrivò nel 1998, quando vinse la Daytona 500, la gara regina delle stock car, dopo una serie infinita di beffe.
Ma fu proprio su quella stessa pista, il 18 febbraio 2001, che trovò la morte in un incidente apparentemente lieve, ma rivelatosi fatale. Il destino volle che morisse proprio sul circuito dove, nel 1994, aveva perso la vita anche il suo migliore amico, Neil Bonnett, durante le prove.
I fan americani lo ricordano ancora con affetto e ammirazione. Nel 2010, quando venne istituita la NASCAR Hall of Fame, non poteva che essere il primo a essere inserito tra i grandi.
Guardando questa docuserie, ho capito quanto anche in una competizione come la NASCAR si possa diventare leggende, entrando di diritto nel mito del motorsport, un onore riservato a pochissimi.