È come veder giocare Edu

Si fa presto a parlare di talento. Di quella capacità di rendere semplice qualcosa che per altri è estremamente complesso. Esiste nell’arte quanto nello sport, come nella scienza.
Ho ammirazione per il talento ma nessun rispetto. Perché semplicemente lo hai, non c’è nessun valore di merito, ci nasci.

Gioca l’under 19, di futsal femminile. In un pigro pomeriggio d’un sabato come tanti altri, che donne d’altri tempi trascorrono dal parrucchiere, quelle più glamour in un aperitivo. Alcune che forse donne non sono ancora, lo trascorrono inseguendo un pallone, che rimbalza poco.

Corrono e s’affannano. Quella sfera di cuoio spesso non obbedisce a comandi, la calciano e finisce con il rotolare, un po’ a caso. Ma loro non s’arrendono e almeno il coraggio e la perseveranza la devo rispettare.

Coppa Italia, probabilmente.
“Devi venire a vederla”. Questa frase m’ha spinto fino alla balaustra del palazzetto.
Non c’è, dovrebbe indossare la maglia numero 10.  Arriva alla terza rotazione di giocatori, a prendersi il parquet. Capelli fermati con una coda, la maglia che penzola fuori dai pantaloncini, ribelle. Si tira ostinatamente i pantaloncini su, come se le stessero per cadere.

È lei, quella che “dovevo vedere”. Basta una giocata, lungo la linea laterale. Io, quel dribbling, l’ho già visto, dal vivo, proprio qui, in questo stesso palazzetto eseguito da Edu Villalva. Se volessi usare il calcio è la giocata di Marc Overmars, l’ala dell’Ajax degli anni novanta e poi dell’Arsenal.

Quello che all’apparenza potrebbe sembrare solo un trick, è un riflesso del suo talento. Pallone in mezzo al campo, sembra passeggiare. Poi colpisce la sfera, indirizzandola in profondità, un passaggio che all’apparenza sembra sbagliato.

Arriva però su quel pallone una compagna di squadra, la conclusione in porta, con solo il portiere avversario davanti, viene respinta. Lei ha visto qualcosa, che non c’era due secondi prima.

Non credo abbia mai giocato prima a futsal. Ignara perfino che esista anche la metà campo difensiva, che l’avversario lo deve seguire perché non c’è come nel calcio qualcuno che lo faccia al posto suo.

Questa ragazzina di quindici anni, sembra uscita da un barrio in Argentina, sembra Edu se lui avesse ancora quell’età e i capelli raccolti in una coda e un nail artist davvero bravo. Noemi è così, con quella stessa espressione in viso che non capisci mai se gli importa davvero di giocare.

Con l’arroganza di chi prova a fare un sombrero all’avversario anche se è molto più alta di lei. Con quella facilità di dribbling così luminosa, capace di saltarti anceh se tu sai che avrebbeavrebbe fatto quella giocata. Lo sai ma non riesci a fermarla.

Le sue avversarie hanno almeno 3 anni più di lei, a questo livello sono un abisso fisico ed esperienziale. Eppure lei ci prova, incurante e incosciente. La vera meraviglia di quel modo di giocare risiede nell’arroganza sportiva. Quella indispensabile se vuoi diventare il migliore, perché prima devi pensare di esserlo.

Forse tra qualche anno Noemi, farà altro. La vita ci porta a percorrere domani vie di cui oggi ignoriamo l’esistenza. Forse non giocherà mai più a futsal, diventerà quello che vorrà.
Su quel parquet per qualche minuto è sembrata un fiore sbocciato fuori stagione.

A guardarlo quel fiore tutto strano, vien da pensare che forse c’è ancora bellezza, anche in questo sport. Un talento che è una forma d’arte irresponsabilmente selvaggia, che se ne sta in mezzo al campo con le braccia ai fianchi e la maglia da gioco un po’ fuori dai pantaloncini.

Il talento è così, nasce dove non te lo aspetti e fiorisce come vuole. Come una ragazzina quindicenne, in un palazzetto qualsiasi, in una partita come tante altre. Grazie a te, donnina con tante cicatrici sulle ginocchia quasi quanti gli scudetti che hai vinto.

Grazie per avermi detto: “devi vederla”. Se ci fosse un modo per definire la bellezza, di quella che basta anche vederla una sola volta e ti manda a casa con l’idea che forse c’è un futuro più bello, sarebbe racchiusa in quel dribbling sulla fascia. Quello che manda il tuo avversario al bar e te in porta, palla al piede.

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