La nebbia di Genzano

Negli stadi di calcio, si cantava e si canta ancora, ma sono i più vecchi, alle squadre del nord Italia: “c’avete solo la nebbia”. Trovarla a Genzano fitta come a Padova è quantomeno inusuale. L’inverno è arrivato con buona pace degli Stark, ma senza White Walkers.

Intorno al Pala”qualcosa” è difficile trovare parcheggio, è transennato nemmeno ci si aspettassero le folle oceaniche che sono a casa a vedere Inghilterra – Francia o il Marocco eliminare il Portogallo. Ho impiegato più io a trovare parcheggio, onesti quindici minuti, che il Falconara a trovare il primo gol.

Passano infatti cinque minuti di gioco effettivo e il Falconara mette il muso avanti e poi fa corsa solitaria fino al traguardo. La squadra marchigiana non soffre nemmeno il freddo pungente. Già, la temperatura interna è: “Pinguini”, oppure se preferite “calcetto”.

Risultato mai in discussione, tanto che qualcuno dalla panchina delle detentrici di tutti i titoli del 2022, esulta anche per un pallone che lambisce il palo. Si, t’ho vista con le braccia alzate e poi a guardarti intorno sperando nessuno si fosse accorto. No, non sei passata inosservata.

Il punteggio con il passare dei minuti assume i contorni agonisticamente più probabili. La solitudine di Angelica nella sua metà campo a cercare di sbirciare un invisibile tabellone racconta d’un tempo, il primo, trascorso senza troppe preoccupazioni.

La foga di Nona con l’arbitro, le corse di Corin che a 40 anni rincorre ancora con efficacia ragazzine con la metà dei suoi anni, sono il tangibile esempio che lo Statte ci prova, ma spesso nell’agonismo provarci non basta. Non nelle partite secche. Due tempi che scorrono veloci, forse troppo.

Alla sirena, finisco con il restare intorno alla panchina degli sconfitti, scegliendo d’osservare e raccontare con discrezione che lo sport è anche lacrime e sofferenza. Non è solo sorrisi ma è abbracci, quelli intrecciati sperando che il dolore condiviso faccia meno male.

Il carro dei vincitori è sempre affollato e sicuramente ci saranno le foto “felici” ma chi racconta dell’ineluttabile destino di quelle che hanno perso? Mi sono preso anche degli insulti, in passato, quando ho provato a raccontare di una sconfitta. Da una di quelle signore appiccicate alla panchina come le mosche sulla colla, dal cartellino facile anche indossando la pettorina. Dal turpiloquio scattante come un umarell al cantiere.

Lo Statte ha una dignità nella sconfitta che si può solo ammirare. Una compostezza nell’accettare che un sogno anche se impossibile s’è appena infranto, in tanti, troppi cocci. Si gioca per vincere accettando la possibilità che non avvenga. Quel dolore però non è solo per il risultato.

È la consapevolezza che nessuna sensazione sarà mai come quelle appena provate. È racchiusa nella frase di una giocatrice che ad ogni foto assomiglia ad una donna diversa: “Sono tornata alla vita normale, che noia.”

Grazie per i ricordi.

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