Abbracciarsi a bordocampo

Non è mai stato così difficile assistere a delle partite, come quest’anno.
Odio viaggiare da solo, la strada sembra più lunga e non posso improvvisare le mie storie di calcio usando una vecchia psvita e football manager.

Nel combattere la noia di un lungo rettilineo, cerco di ricordare com’è che alcuni posti m’appaiono più familiari di altri. Luoghi che sono persone, persone che sono parole, suoni e colori.

Alcune di queste immagini della mente, potrebbe capitare di incontrarle, ancora. Per caso, o per accidenti della vita. In questa Final Eight, esiste un momento esatto, nel quale mi sono specchiato in qualcosa che sono stato. In un passato che sembrava così remoto, solo fino a quando non m’ha colpito dritto in faccia.

Giorno X. Ho dormito poco e male. Scritto qualcosa, che non mi fa vergognare di poterlo rileggere. Spinto in fondo allo stomaco, magone, rabbia e lacrime, che scendono quando sei stanco come un somaro battuto a morte.

Appollaiato come una strana creatura, sulla ringhiera intorno al campo, assisto alla sconfitta del Dueville, nella semifinale under 19. Al fischio finale, c’è chi piange con una compagna, chi si rifugia in un angolo perché il dolore è un accidenti privato. Chi è così stanco da non avere nemmeno più le lacrime, ha sudato anche quelle.

Frugo sempre tra gli sguardi degli sconfitti, c’è meno gente intorno, forse per ignoranza, quella che t’impedisce di dire la cosa giusta, forse per timore di beccarsi sul muso un insulto.

All’improvviso, due ragazze che si somigliano tantissimo, tanto da essere gemelle come scoprirò più tardi, abbracciano credo un tecnico. L’allenatore in seconda, anche questa una informazione che acquisirò in seguito.

Ho scattato d’impulso, nel timore di non riuscire a farlo. Perché a volte, le emozioni ti piombano addosso dal tuo lato cieco, come un pesantissimo mosaico di colori profumati.

Accade di nuovo. Sono lì a consolare due donne, inconsolabili. Senza riuscire a spiegare che: “lo so, c’avete provato davvero fino alla fine”. Perché sento d’averle deluse, di non essere stato all’altezza della loro dedizione assoluta.

Le abbraccio forte per colmare quel debito di riconoscenza, sentendomi dannatamente inadeguato. Le donne, quelle di sport, riescono in questo. Ci fanno sentire maledettamente mancanti.

Da quegli spalti, con Gianluca (Marzuoli) avevamo parlato anche di questo, solo il giorno prima. Di quanto sia importante, la fiducia in un gruppo di donne agoniste. Quanto la loro capacità di credere sia il vero propulsore di miracoli sportivi, come quello del suo Granzette.

La vita può trasportarci su qualsiasi sponda, quel momento però mi legherà per sempre a quelle sensazioni. Si crea un cordone ombelicale per il quale Giorgia mi chiama per raccontarmi anche che ha adottato due conigli.

Come si fa a non abbracciarle, a restare professionali e ridere a cazzo, davanti alle lacrime, a non sentirsi colpevoli d’averle deluse. Sono passati anni e continuo a pensare che quel giorno, non sono stato all’altezza di chi giocava fuori ruolo, chi giocava rotto. Si al maschile perché loro sono giocatori, la loro peculiarità non è il sesso ma la dedizione assoluta.

Capaci d’attraversare muri che una squadra di uomini si rifiuterebbe perfino d’avvicinare. Le posso amare, consolare, ammirare. Senza mai capirle davvero. Avvertendo ogni volta quella sensazione d’inadeguatezza.

La mia di foto, l’ho stampata e fissata al muro. Per non dimenticare, che le loro lacrime, erano e sono, una mia responsabilità. Fatelo anche voi se potete, si tutti e tre. Oggi avete reso questo futsal, un posto senza pagliacci, senza trucchi e senza veli.
Un posto che val la pena di raccontare all’amico vicino.
Love you, all.

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