Firenze – Finali Nazionali

Il sabato notte continua a coincidere con la domenica mattina. Questa assoluta verità stride da sempre con quella che pomposamente voglio chiamare “la mia carriera sportiva”. Il mio telefono, che chiamarlo smartphone è un azzardo tecnologico, indica che sono le tre e mezza di sabato notte.

Avanzo barcollante nel il centro di Pescara, gli scacchi bianchi e neri della pavimentazione del centro città, aiutano i miei piedi a mantenere una traiettoria dignitosa. Almeno spero.

Devo tornare a casa e mettermi a letto. In quell’istante realizzo che domani, anzi oggi, si gioca e non esattamente dietro l’angolo. Destinazione Firenze, Guelfi Sport Center, 400 km e due partite. Questa la distanza tra noi e la gloria.

Punto la sveglia. Altre due per sicurezza. Ho meno di un’ora per ricaricarmi, chiudo gli occhi e solo qualche istante dopo, la sveglia sta già suonando. Preparo il borsone, non sono lucido e decido di affidarmi completamente all’istinto. Cerco di concentrare tutta la mia attenzione nel non dimenticare di portare le distinte di gara. Indosso gli infradito delle grandi occasioni, mangio tutte le cose salate che trovo nel frigo, prendo due bottiglie d’acqua che serviranno a compensare la mancanza di salivazione durante il viaggio. Sono pronto, si parte.

Questa volta il luogo dell’incontro è il parcheggio di fronte al casello di Pescara Nord, Città Sant’Angelo. Luogo diventato ormai crocevia universale di partenze verso nord per tutti i Pescaresi. Da qui è partito il primo Pescara di Giovanni Galeone. Questa è una aggiunta di Mauro che s’infila sempre, tra le righe dei miei racconti.

Insieme ad alcuni dei miei compagni inspiegabilmente già sul posto, trovo ad occupare il parcheggio, una numerosissima schiera di barbuti personaggi vestiti tutti di diverse tonalità di marrone. Un immenso gruppo di maturi scout in pantaloni lunghi. Probabilmente una squadra di softair, anche loro li svegli e pronti alle 6 di domenica mattina. Per un motivo incomprensibile a chiunque non condivida con loro quella maledetta passione.

Probabilmente hanno dormito qui Blackout, Mumak, Notar. Come spiegare altrimenti la loro presenza così in anticipo? Odore di benzina, gomme e caffè. Non necessariamente in questo ordine. Macchine parcheggiate comunque a caso. Rumore di Telepass.

Abbiamo un furgone nove posti. Cicoria ha deciso che questo era il momento giusto per sfoggiare il suo improbabile abbinamento ciabatte e calzino di spugna a Cavour. Quest’ultimo assente nel primo bowl a Caserta, è il più basso della squadra e anche tra i meno esperti, ma questo non ci dissuaderà dal farlo giocare noseguard e fargli avere la sua meritata porzione di botte.

In arrivo ci sono anche Baldo e Quercione. Purtroppo dovremo fare a meno di Wazowski, MVP della partita a Caserta e motore del nostro attacco. Waso ha dovuto alzare bandiera bianca una decina di giorni prima della partenza. Causa un versamento al ginocchio che non accennava a migliorare. Un duro colpo. Abbiamo provato a sopperire alla sua assenza con  l’inaspettato reintegro di una coppia di Guest Star d’eccezione. Ovviamente al momento dell’incontro, dormono entrambi ancora beati.

El Tono dice di trovarsi già a Bologna, speriamo tutti che sia vivo. BigSunday che non vedo ciondolare qui intorno, deve essere svegliato dalle nostre chiamate. Si giustifica in maniera goffa. Con una comoda mezz’ora di ritardo arriva all’appuntamento. BigSunday però è il proprietario del maiale che dà il nome alla nostra squadra, solo per questo gli sarebbe perdonato un ritardo anche di un’ora.

Paolo è alto, grosso, sa inspiegabilmente giocare a football ed è anche una brava persona, una di quelle a cui lasceresti le chiavi di casa quando vai in vacanza.

A partire da Pescara, quindi, siamo nove e basterebbe il pulmino, se non fosse per i troppi bagagli e per le nostre ingombranti corporature. Per evitarci un viaggio scomodo Mumak decide di seguici con la sua macchina. Si carica un po’ di bagagli e Blackout.
Così divisi partiamo in cerca di fortune.

Il primo tratto di autostrada è un susseguirsi di lavori e gallerie. La Domenica e l’orario scomodo ci mettono a disposizione una strada libera da TIR e vacanzieri. Notar, che fa il primo turno di guida con il Pulmino, può scivolare veloce verso la prima sosta.

La prima bottiglia d’acqua è già finita, la saliva è ancora a zero. Nella mia testa va in scena in un infinto loop, un coro gospel composto solo da copie di Adriano Pappalardo. Entro nell’autogrill con la voglia smaniosa di un caffè e qualcosa da mangiare. Il mio scopo superficiale è quello di riequilibrare il mio apparato digerente.

L’odore di cornetti e muffin si mischia a quello delle piastre che scaldano panini e cotolette.  Quella che era solo voglia di assumere composti nutrizionali, diventa una fame atavica. Frustrato dal non poter mangiare nulla di quanto esposto al bancone per via della mia intolleranza, decido di comprare degli “snack” alternativi. Tra questi c’è una bustina di ananas disidratato che scopriremo poi odorare di culo e avere un sapore altrettanto discutibile.

Cavour e il suo thè.
Il viaggio prosegue tra aneddoti del passato e sonnellini di solito interrotti dall’invadente odore di ananas essiccato che infilo nelle narici dei dormiglioni. Ananas essiccato usato, anche e soprattutto, a mo’ di sali per risvegliare Baldo dal suo torpore.

Fast Forward, perché non succede nulla di particolare se non siete degli appassionati di reti autostradali, asfalto, infrastrutture, gente che russa e rumore di motore.

Arriviamo a destinazione. Si staglia di fronte a noi, un grosso centro sportivo, con ampio parcheggio, bar-ristorante, aree verdi ed attrezzate. Mi guardo intorno nel dubbio che questo posto alla periferia di Firenze non corrisponda alla nostra destinazione. Non è quel tipo di campo da football al quale sono normalmente abituato.

C’è l’attesa, il pre partita e allora tanto vale scalare gli spalti. Quello sembra l’unico punto ombreggiato nel raggio di 10 chilometri. Da quella posizione elevata, consumiamo i nostri pasti più o meno da atleti. Qualcuno s’impegna in una valutazione numerica circa la consistenza dei nostri avversari. Sapevamo tutti di essere in svantaggio e inferiorità, non certo però con questo margine.

In campo c’è ovviamente una partita, Quella che vede opposti Caserta e Vikings. Tempo che scorre inesorabile. Arrivano al centro sportivo anche i nostri primi avversari, Terraferma Cocai. Da quanto ho capito hanno battuto i campioni in carica nelle qualificazioni. Nessuno di noi li hai mai visti giocare, quindi sono pronto a studiare il loro aspetto.

Per prima cosa noto le magliette, mi piacciono, il logo è simpatico. Sono più di noi, hanno dietro anche del pubblico. Anche il loro pubblico è più numeroso di noi. Non so se questi particolari mi saranno utili in campo, ma fa troppo caldo per pensare. Ecco è arrivato Skywalker con la ragazza, quindi saluti, baci e abbracci.

Esasperato dal caldo nonostante l’ombra, boccheggio in attesa dell’arrivo di El Tono, unico membro del roster a mancare all’appello. Circa un’ora prima finalmente ha risposto alle nostre chiamate, sappiamo che è vivo e sta arrivando.

El Tono è la nostra speranza per colmare il vuoto lasciato dalle corse di Wazowski. Per convincerlo a venire c’è voluto un fine gioco di diplomazia e una scommessa con Baldo.

Sapevo che El Tono non avrebbe mai permesso a Baldo di vincere una scommessa, per questo ha messo tutto il suo impegno ed è venuto a ben DUE allenamenti e a questa giornata campale a Firenze. Che poi El Tono un soprannome c’è l’ha già, da anni, lui è Ciccio Muay Thai, e da quando ha iniziato a giocare fa l’uomo di linea ma per noi oggi sarà EL TONO (musichetta messicana di sottofondo) il nostro possente running back. Per l’occasione avevo anche comprato 48 baffi finti adesivi che poi però non abbiamo usato.

Arriva il momento di prendere possesso degli spogliatoi, con grande entusiasmo e stupore scopro che, il me del passato nonostante la condizione alcol emica decisamente imbarazzante, ha messo nel borsone tutto l’occorrente per giocare.

Inizia il rito della vestizione. Nel football americano, la preparazione è davvero un rito.  Troppe cose da indossare, troppi passaggi da fare. Si finisce con il rischiare di dimenticare o di montare male qualcosa.

L’unica via è compiere quasi a memoria sempre la stessa serie di passaggi, ognuno ha i suoi. Tra tutte le combinazioni possibili quella più originale è di Blackout. Credo che neanche gli antichi cavalieri medievali avessero tante cose da sistemare prima di una battaglia. Nonostante lui abbia due tutori da montare, io riesco comunque ad essere più lento di lui nel prepararmi.

Una volta pronti, entriamo in campo, c’è ancora del tempo da trascorrere qui, sulla linea laterale. Mi stendo e finalmente trovo pace, ora dormo. Non ricordo quando l’ho fatto per la prima volta. Ormai sono anni che prima di una partita dormo un po’. Probabilmente ho iniziato proprio per recuperare le notte insonni dei pre partita, poi è diventato un rito, un mio modo per trovare calma e concentrazione, una sorta di meditazione.

Quando mi sveglio siamo pronti al riscaldamento, sarà breve e non intenso, fa ancora più caldo, ammesso che sia possibile. Siamo pochi e la nostra tenuta atletica ha come avvertenza il cartellino con al dicitura: “rivedibile”. Cerchiamo tutti di entrare in clima partita, ci aspettiamo degli avversari duri. Ancora una volta riconosco gli sguardi pronti dei miei compagni. Il momento è arrivato, si gioca per arrivare in finale. Si gioca anche per non giocare due partite consecutive. Troppe questioni resterebbe sospese in caso di sconfitta. Questa volta dovremo davvero tutti dare il massimo.

La partita è bella, almeno vissuta da dentro. Io cerco di venire a patti con un dolore alla coscia, che scoprirò in seguito essere uno strappo. Il nostro attacco deve reggere all’assenza combinata di un vero QB e di Wasosky. I Cocai si trovano a fronteggiare una manciata di Maialini che non hanno nessuna voglia di farsi battere.

Fanno uno strano rumore le partite vissute da dentro. Un misto di plastica che sbatte contro altra plastica con dentro un essere vivente. Odorano di sudore che spesso non è il mio, hanno il suono di quelli che ansimano cercando di prendere fiato.
L’incontro rimane in equilibrio fino al secondo TD dei Cocai. Non cediamo però, restiamo dentro la battaglia fino al fischio finale. Ne usciamo sconfitti. Gli avversari hanno dimostrato di essere più forti di noi.

Sono preparati tecnicamente, tatticamente e fisicamente, concentrati e agguerriti. Noi abbiamo perso e siamo sfiniti. In tutti noi, c’è un senso di profonda soddisfazione. Abbiamo dato tutto, abbiamo giocato bene. Ci siamo divertiti e abbiamo fatto divertire i nostri avversari. Partite così sono la ragione per la quale ci svegliamo alle 5 di una Domenica mattina.

Ci sarebbe lo scambio di saluti. Di solito ci si mette in riga sulla linea di metà campo e si va verso gli avversari per scambiarsi una stretta di mano. Questa volta però c’è un po’ di confusione, la mia principalmente. I Cocai sono tutti nel cerchio di centrocampo, e anche alcuni dei nostri sono li. Mi guardo intorno offuscato dalla stanchezza, perdo le speranze di radunare ed ordinare il gregge e vado anche io con i pochi rimasti in riga, verso quel informe mucchio di giocatori.

Arrivato lì, sento confabulare. Il mio unico neurone prendete che lo riconnetta. Ora ricordo e comprendo.

Mumak ci aveva anche ricordato, meno di due ore prima negli spogliatoi che a fine partite Skywalker avrebbe compiuto il grande passo. Dobbiamo far finta di prepararci per un saluto che sia credibile. Prendere tempo finché qualcuno non porterà Marilisa da noi. Marialisa ho dimenticato di dirvi è la fidanzata, nel senso aulico del termine, di Skywalker. Una roba d’altri tempi insomma.

Prendo la parola, provo ad organizzare nella mente, una frase per un saluto. Qualcosa tipo: “PER I COCAI HIP HIP” e invece enuncio una sequenza di sillabe sconclusionate, tra l’altro senza ritmica e con un tono in bemolle. Sembra fatto apposta, tutti ridono. Il mio non troppo voluto siparietto comico è sufficiente. Arriva Mumak e consegna al volo una scatoletta elegante a Skywalker, posizionato nel centro e “protetto” da tutti noi.

Un’ala del mucchio selvaggio si apre, mostrando un ingresso a Marilisa che ci guarda spaventata, fa un passo indietro. Riesce a scorgere però Skywalker al centro e questo dovrebbe rassicurarla. Intorno però sono assiepati decine di buzzurri sudati. Giustamente perplessa, tituba e fa ancora un passo indietro. Skywalker s’avvicina a lei, nel tentativo di stringere la distanza. Lei si fa ancora indietro.

Sembra una danza di quelle che si vedono nei documentari prima degli accoppiamenti di qualche specie rara. Skywalker insiste, fa ancora un passo avanti. Questa volta più lentamente e si inginocchia. In quel preciso istante,  credo che ormai tutto lo stadio avesse capito cosa stava accadendo. Tutti ovviamente, tranne Marilisa che aveva ancora lo sguardo di chi compra un biglietto per lo stadio e si ritrova al cinema a guardare Notting Hill.

Arriva finalmente l’apertura della scatoletta, forse anche la fatidica frase, ma c’è troppo rumore per sentirla. Gli occhi di Marilisa si gonfiano di gioia e stupore, i due si abbracciano, si baciano.

Conosco Skywalker da parecchio ormai, non l’avrei mai immaginato capace di un gesto come quello, davanti a cosi tante persone. È proprio vero, l’amore è una forza in grado di farti fare cose speciali.
Che la Forza sia con te, Amico mio.

Tra un “auguri” e un “congratulazioni”. ci stendiamo al suolo per riposare. Tra mezz’ora dovremo ancora calcare il terreno di gioco. BigSunday si è fatto male, in una delle ultime azioni. Salterà la prossima partita. La sconfitta porta in dote anche questa sciagura.

Passo metà del tempo di attesa a boccheggiare sul prato, l’altra metà a fare esercizi di stretching o cose simili per tentare di tenere in vita la gamba infortunata.

La pausa scivola veloce come un campari e prosecco a fine giornata. I Seabucks nostri prossimi avversari sono pronti a scendere in campo. Vogliono una vittoria.

Diamo tutto quello che abbiamo, tutto quello che è rimasto. Non è abbastanza. Perdiamo ancora, non di molto.
Il fischio finale è un sollievo per me e per i miei compagni. Sapevamo di essere pochi, sapevamo che sarebbe stata dura, sapevamo che avrebbe fatto caldo, sapevamo anche che avremmo potuto perdere. Forse però, avevamo dimenticato di quanto ci si può divertire su un campo da football, un grazie a Cocai prima e i Seabucks poi per avercelo ricordato.

Dopo la doccia però la giornata non è finita. Dobbiamo raccattare BigSunday in ospedale. C’è però da presenziare alla premiazione. Torniamo sugli spalti, luogo che sembra deputato a consumare dei pasti. Riposiamo e guardiamo la finale. I Cocai dominano il campo, vincono anche questa partita meritatamente e si laureano campioni.

Non ci resta che raggiungere il campo, partecipare alla cerimonia, salutare tutti e, finalmente, ripartire.

Le quattro squadre formano involontariamente un cerchio intorno al tavolo della premiazione. Ora che posso osservarle tutte, con un solo colpo d’occhio, riesco a notare quanto nettamente fossimo in inferiorità numerica. Gli angoli occupati delle altre squadre brulicano di giocatori, staff, tecnici, familiari e supporter. Noi in unica riga, cerchiamo di stare a distanza così da occupare più spazio.

Partecipiamo, con rispetto, alla premiazione. Arrivano le nostre medaglie, le abbiamo guadagnate con dolore e sudore. E’ il momento di rimettersi in viaggio, anche con una certa solerzia. C’è tanta strada da fare per tornare a casa. Domani è Lunedì e si lavora, a parte Baldo che si è sistemato delle ferie tattiche.

Attraverso il campo, verso l’uscita, mi attardo cercando con lo sguardo Theft, il numero cinque dei Cocai. Ci siamo conosciuti sugli spalti prima della partita, ho scoperto che aveva letto il mio articolo e aveva apprezzato il racconto.

Mi aveva fatto un strano effetto sapere, che ci fossero delle persone in Provincia di Venezia che avessero letto e compreso quello che avevo scritto. M’ha fatto realizzare finalmente a livello conscio, quello che forse mi è chiaro da sempre. In ogni dove c’è un Cicoria che si chiude fuori casa e di Sgraus che tira le 4 per svegliarsi alle 5 prima di una partita. Sono ovunque. Ognuno dei presenti a questa premiazione, ha una storia e questa storia è più importante delle partite che gioca. Spesso anche più interessante.

Finalmente lo trovo, gli faccio i complimenti per il titolo, lo ringrazio ancora per la partita davvero divertente, lui ringrazia noi, ci salutiamo sperando di affrontarci sul campo, ancora, presto.

Raggiungo il pulmino e ritrovo anche BigSunday con la spalla bardata ma comunque sorridente. Non so da quanto fosse lì con gli altri. Comunque appena arrivato, tra tutti, chiede a me una mano, letteralmente, per cambiarsi.
Faccio come ultimo dono a Firenze di questa immagine di me, accovacciato davanti a BigSunday, a bordo strada, mentre gli slaccio e gli tolgo i pantaloni. Non so cosa abbiano pensato i passanti, ma so bene cosa avrei pensato io.

Il viaggio di ritorno è una lotta contro il sonno, nel vano tentativo di far compagnia a Notar che guida.
Una lunga striscia di immagini fuori fuoco, ricordi che odorano di culo o di ananas. Dolore, stanchezza, voglia di casa, morte. Fine viaggio: ore 3.30. Esattamente nello stesso orario nel quale era iniziato. Forse le coincidenze, non esistono.

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